Con recente sentenza n.**** del 12 maggio 2017 della Quinta Sezione, il Consiglio di Stato ha chiarito i principi giurisprudenziali applicabili per la richiesta di domanda risarcitoria quale equivalente pecuniario del pregiudizio subito a titolo di lucro cessante e di danno curricolare, laddove non sia possibile il subentro nell’esecuzione del contratto d’appalto.
In particolare è stato osservato che:
– ai sensi degli artt. 30, 40 e 124, comma 1, c.p.a., il danneggiato deve offrire la prova dell’an e del quantum del danno che assume di aver sofferto;
– spetta all’impresa danneggiata offrire la prova dell’utile che in concreto avrebbe conseguito, qualora fosse risultata aggiudicataria dell’appalto, poiché nell’azione di responsabilità per danni il principio dispositivo opera con pienezza e non è temperato dal metodo acquisitivo proprio dell’azione di annullamento (ex art. 64, commi 1 e 3, c.p.a.); quest’ultimo, infatti, in tanto si giustifica in quanto sussista la necessità di equilibrare l’asimmetria informativa tra Amministrazione e privato la quale contraddistingue l’esercizio del pubblico potere ed il correlato rimedio dell’azione di impugnazione, mentre non si riscontra in quella consequenziale di risarcimento dei danni, in relazione alla quale il criterio della c.d. vicinanza della prova determina il riespandersi del predetto principio dispositivo sancito in generale dall’art. 2697, primo comma cod. civ.;
– la valutazione equitativa, ai sensi dell’art. 1226 cod. civ. è ammessa soltanto in presenza di situazione di impossibilità – o di estrema difficoltà – di una precisa prova sull’ammontare del danno;

– la prova in ordine alla quantificazione del danno può essere raggiunta anche mediante presunzioni; per la configurazione di una presunzione giuridicamente rilevante non occorre che l’esistenza del fatto ignoto rappresenti l’unica conseguenza possibile di quello noto, secondo un legame di necessarietà assoluta ed esclusiva (sulla base della regola della ‘inferenza necessaria’), ma è sufficiente che dal fatto noto sia desumibile univocamente quello ignoto, alla stregua di un giudizio di probabilità basato sull’‘id quod plerumque accidit’ (in virtù della regola della ‘inferenza probabilistica’), sicché il giudice può trarre il suo libero convincimento dall’apprezzamento discrezionale degli elementi indiziari prescelti, purché dotati dei requisiti legali della gravità, precisione e concordanza, mentre non può attribuirsi valore probatorio ad una presunzione fondata su dati meramente ipotetici;
– non può trovare applicazione il risalente orientamento volto a riconoscere in siffatte ipotesi l’equivalente del 10 per cento dell’importo a base d’asta, sia perché detto criterio esula storicamente dalla materia risarcitoria, sia perché non può essere oggetto di applicazione automatica ed indifferenziata (non potendo formularsi un giudizio di probabilità fondato sull’id quod plerumque accidit secondo il quale, allegato l’importo a base d’asta, può presumersi che il danno da lucro cessante del danneggiato sia commisurabile al 10% del detto importo);
– anche per il c.d. danno curricolare il creditore deve offrire una prova puntuale del nocumento che asserisce di aver subito (il mancato arricchimento del proprio curriculum professionale), quantificandolo in una misura percentuale specifica applicata sulla somme liquidata a titolo di lucro cessante.

avv. Domenico Vitale
avv. Gabriele Vitale

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